SUICIDI E MEDIA: QUALE RAPPORTO?

25.06.2013 22:45

Nella notte fra sabato 1° settembre e domenica 2 settembre 1990  a Prato allo Stelvio tre ragazzi si uccidono insieme convogliando i gas di scarico nell’abitacolo dell’auto.

Essi lasciano un biglietto con scritto: "Questa vita non ha prospettive".

Il fatto produce una vasta  eco sensazionalistica sulla stampa e nelle  settimane seguenti si verificano quasi quotidianamente dei suicidi con la medesima tecnica: 14 ragazzi si uccidono con il gas di scarico. A tal punto che il Corriere della Sera il giorno 13.9.1990 parla di “EPIDEMIA” di suicidi.

Molti altri episodi sono stati oggetto di studio da parte di psichiatri e criminologi: il 1° aprile 2003 un  famoso cantante pop di Hong Kong si suicida lanciandosi dall’alto di un grattacielo: vi è una grande copertura giornalistica da parte dei media e si verifica un incremento significativo dei suicidi dopo la morte del cantante, rispetto sia ai tre mesi precedenti che ai periodi corrispondenti degli anni 1998–2002. Particolarmente marcato è il numero dei suicidi nel sottogruppo di  maschi di 25–39 anni: molti di essi si tolgono la vita  con lo stesso metodo, ed il nome del cantante è stato spesso menzionato negli scritti lasciati dai suicidi.

Nell’aprile del 2005 il  famoso attore televisivo di Taiwan, MJ Nee,  si toglie la vita all’età di 59 anni, impiccandosi ad un albero sito in campagna.

A partire dal 2 maggio, il giorno della scoperta del suo corpo, i giornali ne parlano quotidianamente e con grande rilievo per i 17 giorni successivi: vi è  un incremento del numero dei suicidi, connotato da un notevole effetto di modello, in termini di genere, maschile, e di metodo, impiccagione.

Il problema dell’influenza dei mezzi di comunicazione sul rischio di suicidio è stato studiato  numerose volte dagli psichiatrie dai criminologi.

Il precedente storico più famoso è costituito dall’”epidemia” di suicidi verificatasi in Germania dopo la pubblicazione nel 1774 del romanzo “Die Leiden des jungen Werther” di Johann Wolfgang Goethe.

 

 

Il grande numero di suicidi verificatesi indusse i governi di alcuni Paesi a proibire la diffusione del libro.

Un effetto analogo lo si osservò nel 1802 in Italia dopo la pubblicazione del romanzo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo.

Nel 1844, Amariah Brigham, fondatore della rivista “American Journal of Insanity” (oggi “American Journal of Psychiatry”) scriveva:

“Che i suicidi siano pericolosamente frequenti nel nostro paese è evidente a tutti. Come misura di prevenzione noi suggeriamo alle testate giornalistiche di non pubblicare i dettagli di tali avvenimenti. Non c’è nulla di scientificamente meglio dimostrato del fatto che il suicidio è spesso portato a compimento per effetto dell'imitazione. Un semplice paragrafo di cronaca giornalistica può suggerire il suicidio a venti persone. Alcuni particolari della descrizione sono in grado di accendere l'immaginazione dei lettori, fino al punto che la disposizione a ripetere quel comportamento può diventare irresistibile”.

Il termine “effetto Werther”, per indicare il modello imitativo, fu coniato nel 1974 dal sociologo David P. Phillips che divenne famoso per avere a lungo studiato la morte per suicidio di Marilyn Monroe.

In anni più recenti è entrato nell’uso nei Paesi anglosassoni il termine “copycat suicide” (suicidio fotocopia).

L’ ”American Foundation for Suicide Prevention”  scrive:

“Suicide Contagion is Real: ........between 1984 and 1987, journalists in Vienna covered the deaths of individuals who jumped in front of trains in the subway system. The coverage was extensive and dramatic. In 1987, a campaign alerted reporters to the possible negative effects of such reporting, and suggested alternate strategies for coverage. In the first six months after the campaign began, subway suicides and non-fatal attempts dropped by more than eighty percent. The total number of suicides in Vienna declined as well.1-2”.

 

Altri studi hanno segnalato come i suicidi di personaggi celebri, cui i media hanno riservato grande spazio,  avrebbero creato un grande effetto “copycat”  : ad esempio il suicidio di Marilyn Monroe nel 1962 avrebbe determinato un aumento del tasso dei suicidi del 12% rispetto al periodo precedente.

Studi basati invece su storie di suicidio cui la stampa ha dato una sottolineatura negativa avrebbero determinato un 99% in meno di effetto “copycat”: ad esempio nel 1994 si suicidò Kurt Cobain, il leader del famoso gruppo musicale dei “Nirvana”: questo atto fu  generalmente trattato sulla stampa in modo negativo e in termini di condanna e furono segnalati pochissimi “suicidi copycat.”

Sembra quindi esserci concordia tra gli psichiatri e studiosi su questo tipo di effetto, anche se il famoso sociologo ed antropologo francese Emile Durkeim alla fine del secolo scorso aveva affermato "Taluni autori, attribuendo all’imitazione un potere che non ha, hanno chiesto che venisse vietata ai giornali la cronaca dei suicidi e dei delitti. È possibile che questo divieto riesca ad alleggerire di qualche unità l’ammontare annuo di questi atti. Ma è alquanto dubbio che esso possa modificarne il tasso sociale".

Interessanti perché appaiono come un tentativo di coniugare aspetti psichiatrici e sociologici sonole teorie della cosiddetta Social learning theory che prese sviluppo dagli studi di Albert Bandura e che potremmo così riassumere:

-- Nella società esiste un gruppo di soggetti a rischio suicidario

--L’effetto copycat coinvolge il gruppo di persone a rischio

-- L’impatto dei media fa superare la soglia suicidaria e questo sarebbe dovuto al fatto che nelle cronache vi è una ridondanza  di commenti “positivi” (grande copertura mediatica, glorificazione del defunto, focus sugli aspetti positivi del defunto, razionalizzazione dei motivi) a scapito di quelli “negativi” (dolore e sfiguramento della persona, critica del suicidio, discussione sulle alternative).

 

Nella pratica clinica io ho osservato sempre un profondo turbamento tra le persone affette da disturbi dell’umore alla notizia di un suicidio e nella nostra provincia non c’ è purtroppo quasi nessuno che non abbia avuto un suicida almeno tra i propri conoscenti, se non tra gli amici o familiari.

E anche nei colloqui con i pazienti che hanno commesso un tentativo di suicidio mi sono sempre sentito dire che la notizia di un altrui suicidio ha spesso innescato uno stimolo ulteriore in chi già si dibatte al pensiero di darsi la morte: “ se ce l’ha fatta lui, allora anch’io…” ricordo anche che quando lavoravo nel vecchio ospedale psichiatrico al verificarsi del suicidio di un paziente, evento per la verità molto raro per l’alto livello di sorveglianza, scattava “l’allarme rosso”, proprio per il timore di un seguito imitativo.

Lo scopo del mio contributo a questo convegno non è certo quello di entrare in modo approfondito nelle cause e nelle dinamiche molto complesse del fenomeno –suicidio-, ma quello di  definire i riflessi che il comportamento dei media può avere sulle condotte che portano ai gesti anticonservativi.

La probabilità di un effetto copycat indotto dalla sovra esposizione sensazionalistica da parte mass media va sempre tenuta presente, anche se  questo significato deve essere correttamente valutato ed interpretato nei termini di  interazione tra i molti fattori che sono alla base del fenomeno suicidio

Ritengo invece che un’informazione scientificamente corretta, ma anche solo  attenta e sensibile, possa avere un effetto di psicoeducazione e rappresentare un momento genericamente preventivo rispetto alla popolazione generale e soprattutto alle persone a rischio potenziale di un gesto auto conservativo ed ai loro familiari.

 

Attualmente, i codici di comportamento dei giornalisti in diversi Paesi variano dalla disposizione di non comunicare mai notizie sui suicidi (Norvegia) a posizioni più moderate.

Allora proviamo a dare delle

 

LINEE GUIDA

NON “ROMANTICIZZARE” IL SUICIDIO SCRIVENDONE COME DI UN GESTO EROICO, CORAGGIOSO, DI UNA COMPRENSIBILE CONSEGUENZA DI UN AMORE NON CORRISPOSTO  O DELLA PERDITA  DI UN AMORE, O DEL DOLORE CRONICO O DI AVVERSITA’ O DELL’AVERE UNA MALATTIA INGUARIBILE.

EVITARE UNA  SOTTOLINEATURA DEGLI ASPETTI “POSITIVI” (GRANDE COPERTURA MEDIATICA, GLORIFICAZIONE DEL DEFUNTO, FOCUS SUGLI ASPETTI POSITIVI DEL DEFUNTO, RAZIONALIZZAZIONE DEI MOTIVI) A SCAPITO DI QUELLI “NEGATIVI” (DOLORE E SFIGURAMENTO DELLA PERSONA, CRITICA DEL SUICIDIO, RIPPERCUSSIONI SUI FAMILIARI, DISCUSSIONE SULLE ALTERNATIVE), TUTTI ELEMENTI CHE AVREBBERO INVECE UN VALORE ALMENO DETERRENTE , SE NON PEDAGOGICO.

NON PIANTARE ALBERI COMMEMORATIVI  NELLA SCUOLA DEL DECEDUTO O NON RITIRARE LA SUA MAGLIA DALLA SQUADRA SPORTIVA CHE FREQUENTAVA.

NON RIDURRE UN GESTO COSI’ COMPLESSO E MULTIFATTORIALE COME IL SUICIDIO AD UNA SPIEGAZIONE FACILE E SEMPLICISTICA: AD ESEMPIO TITOLO DI UN GIORNALE AMERICANO:  IL CUOCO SI E’ UCCISO DOPO AVER PERSO UNA DELLE 3 STELLE MICHELIN ATTRIBUITE AL SUO RISTORANTE  (I MEDIA TROPPO FREQUENTEMENTE PRESENTANO GLI EVENTI PRECIPITANTI DI UN SUIDICIO COME DECISIVI, PER ESEMPIO TRA  LA MIRIADE DI SUPPOSTE CAUSE IPOTIZZATE PER IL SUICIDIO DI UN MEMBRO DELLO STAFF DEL PRES CLINTON NESSUNA CITAVA LA DEPRESSIONE COME EVENTO CAUSALE.

NON TRALASCIARE ASSOLUTAMENTE LA MENZIONE DELLA DEPRESSIONE O DI ALTRA MALATTIA MENTALE: E’ POSITIVO PER I LETTORI CAPIRE CHE LE DEPRESSIONI NON CURATE O MAL CURATE POSSONO UCCIDERE.

COME HA AFFERMATO “DAVID SHEFFER” TUTTI DOVREMMO IMPEGNARCI PER TOGLIERE LO STIGMA ALLA MALATTIA MENTALE COSI’ CHE LA POPOLAZIONE SIA INCORAGGIATA A CHIEDERE AIUTO, MA IMPEGNARCI A NON TOGLIERE LO STIGMA AL SUICIDIO DESCRIVENDOLO COME LA LOGICA CONCLUSIONE DI UNA DEPRESSIONE.

NON METTERE LE STORIE DI SUICIDIO SULLE PRIME PAGINE DEI GIORNALI O SULLE COPERTINE DEI ROTOCALCHI. MENO SI SENSAZIONALIZZA L’EVENTO,  MEGLIO E’.

COSI’ COME NON FORNIRE DETTAGLI SULLE METODICHE E LE DINAMICHE DEL SUICIDO: E’ SUFFICIENTE DIRE:    DECEDUTO PER SUICIDIO.

 

Sintesi della relazione presentata al Convegno "LA MALAOMBRA, il perturbante caso dei suicidi in una vallata alpina", Sondrio 17/09/2009.