DIETRO CASI COME QUESTI C'E' TANTA SOFFERENZA. LA GIUSTIFICAZIONE E' "TI UCCIDO PERCHE' TI AMO"

03.05.2019 14:54

Sondrio (gdl) «Eventi tragici come quello accaduto all’alba di lunedì in via Torelli a Sondrio sono generalmente il frutto di una lunga e profonda sofferenza». Lo psichiatra e criminologo Claudio Marcassoli cerca di dare una spiegazione a fatti apparentemente inspiegabili, come i due delitti-fotocopia che a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro hanno scosso la tranquilla vita cittadina. Senza ovviamente entrare nello specifico del singolo caso, il criminologo analizza quelle che possono esserne le cause principali.
«In gergo vengono definiti pietatis causa o altruistici  e spesso sono seguiti dal suicidio dell’omicida - riferisce lo specialista - Ma quasi mai si può parlare di un evento improvviso. Detto che il raptus non esiste, dietro delitti di questo genere vi sono sempre un grosso carico di sofferenza e disperazione e lunghi rimugini. Tra l’altro si parla solitamente di due vittime: la persona uccisa e il responsabile del delitto. Tra i due vi è un legame profondo, tant’è che questo tipo di reato avviene sempre all’interno del nucleo familiare, tra persone cioè che si vogliono bene, generalmente tra chi accudisce il proprio caro malato e chi riceve l’assistenza».
Ed è proprio questo il contesto dove amore e sofferenza vanno di pari passo. E dove possono sfociare in tragedia.
«L’omicida è come se dicesse alla sua vittima: “Ti uccido perché ti amo” - spiega il criminologo - Togliere la vita alla persona cara è visto infatti come un gesto liberatorio, che mette fine al dolore e al continuo e profondo tormento. Spesso l’assassino, all’atto di sopprimere il proprio congiunto, non pensa di ucciderlo ma di salvarlo. Anche le modalità dell’uccisione non sono mai, passatemi il termine, violente, ossia con l’uso di armi. Il reato viene commesso soffocando o strangolando magari nel sonno oppure dopo aver stordito la vittima con farmaci sedativi, al fine appunto di non provocarle sofferenza».
Marcassoli puntualizza poi che, oltre al grande carico di dolore, vi sono altri fattori che possono favorire il verificarsi di questo tipo di reato.
«L’isolamento sociale, la mancanza di solidarietà o di una rete di servizi esterni, la depressione, che si genera dalla disperazione, sono tutti campanelli d’allarme. Vi è poi anche una componente personale e psicologica che può far scattare il gesto disperato. A ogni modo, nei confronti delle persone coinvolte in simili eventi occorre sempre portare rispetto».
Marcassoli sottolinea inoltre che quasi mai alla base del reato vi è una patologia psichiatrica: «Diversamente nella stragrande maggioranza dei casi di madri che uccidono i figli si rileva una malattia psichica».
Riferisce inoltre che nel Milanese è stato effettuato uno studio durato dieci anni e che ha rivelato che il 7% degli omicidi di anziani sono correlabili alla pietatis causa.
«Una percentuale tutt’altro che bassa e che deve fare riflettere - commenta - Certamente in una metropoli rispetto a una piccola città come la nostra in cui ci si conosce quasi tutti, il rischio di isolamento è  più elevato, ma è fondamentale intercettare il disagio prima che possa sfociare in tragedia. Ecco perché è importante riuscire a prevenire tali fenomeni. Persone anziane che vivono rinchiuse nel proprio guscio non vanno lasciate sole. E’ fondamentale potenziare le forme di assistenza e la rete sociale attorno a loro. Mi riferisco non solo a supporti materiali, come può essere quello dell’infermiera che viene in casa per fare la puntura al malato allettato. Parlo di vicinanza umana e sostegno psicologico al quale tutti possono concorrere: vicini di casa, assistenti a domicilio, volontari. Intercettare il disagio profondo non è facile. In questi casi può svolgere un ruolo strategico il medico di famiglia che è forse la persona estranea più vicina agli anziani soli».
Infine sulla domanda di una possibile emulazione Marcassoli risponde: «Può esistere. L’idea di farla finita spesso ricorre in maniera sofferta e da lungo tempo. Ecco che allora vedere  che qualcuno l’ha messa in pratica può contribuire a trovare la forza, il coraggio di eliminare per sempre il dolore, togliendo la vita».

 

Da "Centro Valle" del 13 Aprile 2019